Il lavoro che fai non definisce chi sei
Sto leggendo il libro di Vicki Robin “O la borsa o la vita” e devo dire che contiene dei concetti davvero interessanti.
La parte migliore, secondo me, arriva a pagina 273 dove l’autore scrive le frasi che cito qui sotto e che per me sono state assolutamente rivoluzionarie
“Supponiamo che tu sia un insegnante nato ma che faccia il programmatore perché puoi guadagnare di più. Nella vecchia logica, tutte le volte che qualcuno ti chiedeva cosa facevi, ti sentivi in obbligo di rispondere “Faccio il programmatore”. Quale pensi possa essere l’effetto di questa perenne incongruenza tra la tua vera identità e la tua identità lavorativa esteriore? Potresti sentirti un po’ infelice, senza sapere il perché.
…
Ma quando spezzi il legame tra lavoro e stipendio, ti si apre una nuova opzione. Quando di ti chiedono cosa fai, puoi dire con tranquillità: “sono un insegnante, ma oggi come oggi scrivo programmi per guadagnarmi da vivere”. La possibilità di riaffermare quello che sei veramente ti permette di riesaminare criticamente il modo in cui hai strutturato la tua carriera“.
O la borsa o la vita
Rileggetelo tutte le volte che vi serve, fino a farlo davvero vostro.
Parliamone
Finora ho sempre visto il lavoro che facevo come lo specchio di quello che ero. Facevo il programmatore, dunque ero un programmatore. Facevo l’accettatore in un’officina, ero un accettatore.
E a ben ripensarci tutto questo aveva un impatto sulla mia vita extralavorativa, anche a livello comportamentale.
E’ incredibile capire come siamo così identificati con il nostro lavoro da non riuscire a discernere chi siamo da quel che facciamo.
Voglia di cambiamento
Forse è per questo che dopo un determinato periodo di tempo puntualmente sentivo crescere in me la voglia di cambiare.
L’ho rinominato tra me e me il timer al licenziamento. Non l’ho mai detto a nessuno ma arrivava un momento nel quale lo sentivo proprio scattare dentro di me.
Era un’affermazione che dal profondo risaliva e mi appariva chiaramente.
Non voglio più stare qui. Non faccio più questo. Io non sono questo.
Per quanto riguarda il mio ultimo lavoro, lo posso precisamente collocare nel tempo. Era un lunedì di dicembre 2019, alle ore 8:02.
Me lo ricordo così bene perché c’è stato un evento che mi ha fatto girare i coglioni a tal punto che è successo. L’ho proprio detto a me stesso: “E’ partito il timer“.
All’epoca ancora non sapevo se avrei cambiato per un altro lavoro dipendente o per buttarmi a capofitto su questa avventura, cosa che poi per fortuna alla fine ho fatto.
Ma tant’è, ormai la decisione era presa. Ed è fantastico perché si inizia a vivere la vita lavorativa molto più serenamente, sapendo che quello che si sta facendo ha una data di termine ben precisa.
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Non l’avevo mai capito, finora
Ogni volta che questo timer partiva e la tranquillità iniziava ad impadronirsi di me, davo sempre il merito al futuro cambio di luogo, di mansione, di datore e di colleghi.
Il tutto, secondo me, era dovuto al brivido dell’ignoto.
Dopo aver letto queste frasi di Vicki Robin, però, ho capito che c’erano implicazioni molto più profonde.
Ad ogni licenziamento era come se dicessi a me stesso
Tranquillo Giacomo, ho capito che questo non è il tuo lavoro e non sei tu. Cambiamo e vediamo cosa succede”.
Giacomo a Giacomo
Cosa si vuole e cosa non si vuole
Capire cosa si vuole fare davvero della propria vita è molto difficile. Tant’è che all’inizio pare più sensato andare per esclusione.
Intanto faccio questo lavoro da barista, poi se non mi trovo bene cambio.
E a questo punto si aprono quattro scenari possibili:
- Scopri che il barista è il lavoro della tua vita. Hai fatto bingo e va benissimo così
- Continui a fare il barista ma non ti piace. Passano i mesi, passano gli anni e il liberarti da quelle catene è sempre più difficile. Poi arriva un aumento di 20€ al mese, arrivano le ferie, arrivano i figli… Sopporterò, mancano solo 30 anni alla pensione
- Cambi lavoro. E poi ancora. Ma sei sempre insoddisfatto e alla fine dai la colpa a te stesso che sei troppo schizzinoso e ti adatti all’impiego che hai
- Capisci che il lavoro che fai non definisce chi sei. Cambi lavoro senza sentirti in colpa e sapendo che lo fai solo per vivere. Quello che sei è ben altro
[il barista è stato scelto a caso in quanto primo lavoro per molti]
E’ fondamentale saperlo
Sebbene io abbia cambiato 8 lavori in 7 anni, non ho mai vissuto questo essere un dipendente itinerante come un problema. Semplicemente partiva il timer e iniziavo a cercare altro.
Ovviamente sapere quello che vi ho appena detto in questo articolo mi avrebbe fatto di sicuro comodo. Paradossalmente forse ne avrei cambiati di meno, tanto avrei saputo che non era il cambio a darmi gioia, ma il sapere di non essere quello che facevo.
E ripetermelo quotidianamente avrebbe rallentato o forse spento questo desiderio di andare altrove e provare altre cose.
Ovvio che c’è anche una componente di scoperta, esperienza e di conoscenza che entra in gioco, difatti andando in Canada ho imparato e vissuto cose che mai avrei immaginati, ma anche stando vicino casa e lavorando per un e-commerce su Amazon.
Sedersi a tavolino con noi stessi
La cosa che a questo punto diviene fondamentale fare, alla luce di quanto appreso, è chiederci se siamo soddisfatti di quello che facciamo e in caso contrario perché.
E soprattutto capire se un eventuale cambio ci gioverebbe a livello di esperienze e conoscenze oppure sarebbe solo una mini fuga da un malessere che ben presto si ripresenterebbe.
Il mio timer definitivo
Salutando il mio ultimo impiego da dipendente ho messo nel cassetto un timer ma ne ho tirato fuori uno ben più grande.
Non ha i minuti ma le settimane. Non ha le ore ma gli anni.
E attualmente segna che mancano 6 anni al raggiungimento del mio obiettivo.
Concludendo
Sono davvero curioso di sapere se questo articolo ti ha aperto gli occhi come ha fatto con me. E’ stato davvero bello vedere come alcuni pezzi sparsi che non sembrava avessero senso, si siano uniti alla perfezione a seguito della lettura di questi paragrafi che ho linkato all’inizio.
Fammi sapere nei commenti cosa ne pensi o se lo avevi già letto! Oppure se hai letto il libro ma questo concetto ti era sfuggito!
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Cosa aspetti? E’ un peccato lasciare sul piatto tutti quei soldi!